giovedì 13 dicembre 2012

Il Canada blocca gli F35


Adesso è deciso, i dubbi si sono trasformati in realtà: il Canada si è infatti ufficialmente ritirato dal programma di sviluppo del caccia-bombardiere F35 "stealth". Il governo di Ottawa era infatti uno dei dieci Paesi, come l'Italia, che stava sviluppando questo progetto insieme agli Stati Uniti. Quello degli F35 era considerato il progetto più grande e costoso nella storia dell'aeronautica: ne dovrebbero infatti essere costruiti 2.443 per un costo totale stimato in 323 miliardi di dollari.
Questo dimostra ancora una volta che la richiesta di bloccare l'acquisto degli F35 rivolta al Governo italiano non era una richiesta "estremista" e neanche un vezzo dei pacifisti, ma un scelta razionale in un momento così difficile per l'economia nazionale.
Il Governo è ancora in tempo per cambiare questa scelta sbagliata, e reindirizzare le risorse verso uno dei tanti campi in difficoltà economica, come la ricerca, l'edilizia scolastica e gli ammortizzatori sociali (tanto per fare qualche semplice esempio, ma potrei andare avanti).

domenica 9 dicembre 2012

L'e-book gratuito di "DOCUMENTO 167"

Questo è il link per scaricare "Documento 167", il mio primo romanzo/racconto lungo.
Documento 167 è un viaggio sulle orme di D. F. Wallace (anche se non l'avevo ancora letto quando l'ho scritto), una distopia autobiografia, un diario da un futuro senza futuro.
Commenti e insulti sono, come sempre, cosa gradita!

DOCUMENTO 167.pdf - Dropbox


mercoledì 21 novembre 2012

Il testo dell'accordo Israele-Palestina



Questo l'accordo raggiunto per il cessate il fuoco fra Israele e Palestina in seguito alla mediazione Egiziana (in inglese), raggiunto Mercoledì 21 Novembre e reso pubblico dallo stesso governo egiziano. Netanyahu ha già commentato: "Ho voluto dare una chanche alla proposta egiziana, ma nel caso di fallimento useremo una forza maggiore". 



Agreement of Understanding For a Ceasefire in the Gaza Strip


1: (no title given for this section)

A. Israel should stop all hostilities in the Gaza Strip land, sea and air including incursions and targeting of individuals.

B. All Palestinian factions shall stop all hostilities from the Gaza Strip against Israel including rocket attacks and all attacks along the border.

C. Opening the crossings and facilitating the movements of people and transfer of goods and refraining from restricting residents' free movements and targeting residents in border areas and procedures of implementation shall be dealt with after 24 hours from the start of the ceasefire.

D. Other matters as may be requested shall be addressed.


2: Implementation mechanisms:

A. Setting up the zero hour for the ceasefire understanding to enter into effect.

B. Egypt shall receive assurances from each party that the party commits to what was agreed upon.

C. Each party shall commit itself not to perform any acts that would breach this understanding. In case of any observations Egypt as the sponsor of this understanding shall be informed to follow up.



(Reporting by Marwa Awad; Editing by Kevin Liffey)

martedì 30 ottobre 2012

A che punto siamo sull'educazione? Gli obiettivi italiani di Strategia Europa 2020.


In un post precedente su questo blog (quante parole giovani!) mi ero occupato di commentare brevemente le cifre sull'educazione emerse dal rapporto OCSE "education at glance 2011-2012". 
Da quel rapporto emergeva che, a dispetto di una media OCSE di laureati under 35 del 30% circa, la media italiana superava a malapena il 15%. L'altro dato fortemente negativo riguardava, invece, la percentuale di persone che riuscivano ad ottenere un titolo di studio superiore a quello dei propri gnitori, classifica in cui l'Italia si trovava quartultima davanti a USA, Turchia e Portogallo.e
Davanti a questi dati, che ho definito "inquietanti", ho ricevuto ogni tipo di obiezione, una delle quali riguardava il fatto che fanno parte dell'OCSE Stati in via di sviluppo o da poco sviluppati, e quindi in un relativo boom educativo. 
Visto che mi piace prendere in considerazione le critiche invece che ignorarle, questa volta metterò l'Italia in comparazione con una nazione del medesimo livello: l'Italia.
All'alba della crisi economica, solo 2 anni fa, la Commissione Europea ha presentato la Strategia Europa 2020, un progetto che prevede cinque obiettivi misurabili da tradurre in appositi piani nazionali, riguardanti: l'occupazione, la ricerca, la crescita sostenibile, l'istruzione e la lotta alla povertà. 
A che punto è l'Italia in materia di ricerca e istruzione? E' presto detto: l'obiettivo da raggiungere per quanto riguarda il tasso di abbandono scolastico fra i 18 ed i 24 anni sarebbe il 15%, mentre in Italia la media è del 18% circa (18,8% nel 2010, 18,2% nel 2011). Per quanto riguarda l'educazione terziaria fra i 30 ed i 35 anni l'obiettivo sarebbe di raggiungere quota 26%, mentre attualmente questa media si attesta sul 20% circa (19,8% nel 2010, 20,3% nel 2011). Va peraltro detto che entrambi i dati sembrano mostrare un trend positivo, anche se in piccola parte: non si può dire lo stesso per la percentuale di PIL destinata alla ricerca, che secondo la Commissione Europea dovrebbe raggiungere l'1,53%, ancora ferma all'1,26% (2009 e 2010) e che sembra destinata a diminuire ulteriormente.
Già questi dati, che senza bisogno di alcuno sforzo di fantasia definirò "inquietanti", dovrebbero mostrare che non solo l'Italia non ha puntato su ricerca, innovazione e educazione, ma che continua a non farlo. La situazione, però, risulta ancor più grave se confrontiamo quanto appena detto con gli obiettivi che la stessa Strategia Europa 2020 pone per l'insieme dei 27 Stati: il traguardo da raggiungere sull'abbandono scolastico fra i 18 ed i 24 anni è solo del 10%, a fronte di una media attuale del 14,1% (contro il nostro 18%). Per quanto riguarda l'educazione terziaria fra i 30 ed i 35 anni l'obiettivo sarebbe di raggiungere quota 40%, mentre la media attuale si attesta sul 33,5%, ben superiore al 20% registrato dall'Italia. Ancora più grande sembra la nostra distanza dal resto dell'Europa se volgiamo lo sguardo alla percentuale di PIL destinata alla ricerca, che secondo la Commissione Europea dovrebbe raggiungere il 3%, mentre è ancora ferma al 2%, contro il nostro 1,26%.
Ancora una volta la situazione della ricerca e dell'educazione in Italia sembra drammatica: per questo gli ulteriori tagli alla scuola e alla ricerca previsti dalla legge di Stabilità varata dal Governo Monti sembrano non solo sbagliati, ma anche del tutto illogici. Questo governo, e soprattutto il prossimo, dovranno ricominciare a puntare su questo (educazione, istruzione, ricerca e innovazione) per portare l'Italia fuori da una crisi che è sicuramente economica, ma che rischia ogni giorno di più di diventare anche una crisi culturale.

(Quasi dimenticavo! fonte dati: Eurostat, aggiornati al 21/10/2012)

lunedì 15 ottobre 2012

Perché dire no a questa riforma del Titolo V

Il testo della (possibile) riforma costituzionale del Titolo V non è ancora disponibile, e pochi sono gli indizi che possono far comprendere quale ne sarà il contenuto. L'unica cosa chiara è che le Camere dovranno fare in fretta ad approvarla, ma questa ormai non è più una novità. Anzi.
Ad ogni modo dal comunicato stampa successivo al Consiglio dei Ministri e dalle varie dichiarazioni successive (ad es. quella del Min. Patroni Griffi) risulta abbastanza chiaro che l'obiettivo di questa controriforma sarà quello di restituire allo Stato alcune competenze attualmente in mano alle Regioni e quello di dare la possibilità alla legge statale di imporre determinate modifiche alle leggi regionali qualora lo richieda la "tutela dell'unità giuridica ed economica della Repubblica".
Sul secondo punto sono personalmente d'accordo: il profilo dell'uguaglianza fra i cittadini della Repubblica non può che essere un faro in un sistema ormai plurilivello come quello italiano, e il Titolo V risulta lacunoso proprio in quest'ambito. 
Questo sistema plurilivello a cui abbiamo appena fatto riferimento, però, prevede anche uno strato superiore a quello statale: quello dell'Unione Europea, che sta vivendo ormai da decenni una fase di espansione delle proprie competenze. Proprio per questo motivo non è accettabile, invece, una diminuzione delle competenze regionali a favore dello Stato: se, come ha detto recentemente il Presidente Napolitano, le innovazioni future dipenderanno in massima parte dalle "cessioni di sovranità" statali all'UE, allora le competenze regionali saranno (o almeno dovrebbero essere) sempre di più un contrappeso alle delocalizzazione delle scelte fondametali dallo Stato al sistema europa. 
Quando in gioco ci sono equilibri di questo genere la cosa peggiore che si può fare è perdere di vista il concetto di quadro generale, l'armonia dei pesi e contrappesi,  in una sorta di furore vendicativo nei confronti dei tanti (tantissimi, decisamente troppi) casi di corruzione: la classe dirigente regionale è sicuramente di basso livello, potremmo dire (in maniera anche troppo lusinghiera) che sia in fase di crescita e costruzione, ma tornare indietro in questo momento, e farlo per di più di corsa, non è la soluzione.
Il rischio non è soltanto quello di mettere l'ennesima toppa sopra una toppa precedente, sfilacciando ancora di più il tessuto costituzionale e senza ripensamenti sul ruolo del Senato, ma anche quello di allontanare ancora di più i cittadini dai punti focali delle decisioni che li riguradano: se l'epoca della "Roma ladrona", anche se storicamentre vicina sembra ormai (fortunatamente) lontana, l'epoca dell'"Europa ladrona" è appena cominciata e durerà più a lungo di quanto molti sembrano pensare.

giovedì 19 aprile 2012

La Costituzione dopo la (possibile) riforma ABC


In questo post riporto (e dovrete scusarmi per la lunghezza!) il testo della nostra carta costituzionale, limitatamente agli articoli interessati, così come risulterebbe in seguito all'approvazione della riforma costituzionale ABC. Come riferimento ho utilizzato il testo base già approvato in Commissione, attualmente calendarizzato in Parlamento ed i cui emendamenti potranno essere presentati entro l'8 Maggio p.v.. 
Ovviamente non essendo questo il testo definitivo della riforma vi potranno essere dei cambiamenti, anche rilevanti, rispetto a questo punto di partenza, i cui punti principali mi sembrano comunque essere i seguenti:

 - Riduzione del numero dei parlamentari (non certo drastico ma non irrilevante, 508 Deputati e 254 Senatori).

 - Superamento del bicameralismo perfetto (tramite il criterio funzionale ancorato all'articolo 117 Cost.) e velocizzazione dell'iter legislativo (da valutare più attentamente in connessione con le future modifiche dei regolamenti parlamentari).

 - Rafforzamento del Governo e, in parte, del Presidente del Consiglio ( prima di tutto tramite la mozione di sfiducia costruttiva a maggioranza assoluta, ma anche attraverso la corsia preferenziale governativa, la fiducia al solo Presidente del Consiglio, la connessione tra eventuale rigetto della fiducia e proposta di scioglimento delle Camere).

In sostanza questa riforma sembra essere improntata principalmente sul modello della Legge Fondamentale tedesca del '49 e, insieme alla riforma elettorale, a quella dei regolamenti parlamentari e a quella dei partiti, dovrebbe razionalizzare il sistema parlamentare italiano rispondendo almeno ad una parte dei rilievi dottrinari degli ultimi vent'anni, rafforzando il bipolarismo senza estremizzarlo. Certo, questa riforma non può essere definita "drastica", è senza dubbio figlia di un compromesso che rispecchia l'attuale eterogeneità dei partiti facenti parte della maggioranza (ad esempio sarebbe possibile una riforma più convincente del bicameralismo, con un rapporto fiduciario Governo-Parlamento legato ad una sola Camera oppure con elezioni di secondo grado per il Senato, un taglio più netto dei parlamentari ed un intervento più decisivo per la diminuzione della decretazione d'urgenza), ma certamente si tratta di un passo in avanti che, qualora andasse a buon fine, potrebbe eliminare quantomeno le contraddizioni e le problematiche più grossolane del nostro sistema attuale.


Gli articoli interessati (in grassetto le parti modificate)
Art. 56.
La Camera dei deputati è eletta a suffragio universale e diretto.
Il numero dei deputati è di cinquecentootto, otto dei quali eletti nella circoscrizione Estero.
Sono eleggibili a deputati tutti gli elettori che nel giorno delle elezioni hanno compiuto i ventuno anni di età.
La ripartizione dei seggi tra le circoscrizioni, fatto salvo il numero dei seggi assegnati alla circoscrizione Estero, si effettua dividendo il numero degli abitanti della Repubblica, quale risulta dall'ultimo censimento generale della popolazione, per cinquecento e distribuendo i seggi in proporzione alla popolazione di ogni circoscrizione, sulla base dei quozienti interi e dei più alti resti.
Art. 57.
Il Senato della Repubblica è eletto a base regionale, salvi i seggi assegnati alla circoscrizione Estero.
Il numero dei senatori elettivi è di duecentocinquantaquattro, quattro dei quali eletti nella circoscrizione Estero.
Nessuna Regione può avere un numero di senatori inferiore a sei; il Molise ne ha due, la Valle d'Aosta uno.
La ripartizione dei seggi tra le Regioni, fatto salvo il numero dei seggi assegnati alla circoscrizione Estero, previa applicazione delle disposizioni del precedente comma, si effettua in proporzione alla popolazione delle Regioni, quale risulta dall'ultimo censimento generale, sulla base dei quozienti interi e dei più alti resti. 
Art. 58.
Sono eleggibili a senatori gli elettori che hanno compiuto il trentacinquesimo anno.
Art. 70.
La funzione legislativa è esercitata (“collettivamente” parola soppressa) dalle due Camere.

Art. 72.

I disegni di legge sono presentati al Presidente di una delle Camere.
I disegni di legge devono avere un contenuto omogeneo.
I disegni di legge riguardanti prevalentemente le materie di cui al terzo comma dell’articolo 117 sono assegnati al Senato della Repubblica; gli altri disegni di legge sono assegnati alla Camera dei deputati.
Presso il Senato della Repubblica è istituita la Commissione paritetica per le questioni regionali, composta da un rappresentante per ciascuna Regione e Provincia autonoma, eletto dai rispettivi consigli, e da un eguale numero di senatori che rispecchi la proporzione tra i gruppi parlamentari, la quale esprime, entro termini e secondo procedure stabiliti dal Regolamento, parere obbligatorio sui disegni di legge riguardanti prevalentemente le materie di cui al terzo comma dell’articolo 117.
I disegni di legge sono assegnati, con decisione insindacabile, ad una delle due Camere d’intesa tra i loro presidenti secondo le norme dei rispettivi regolamenti.
Il disegno di legge è esaminato, secondo le norme del regolamento della Camera alla quale è stato assegnato, da una commissione e poi dalla Camera stessa, che l’approva articolo per articolo e con votazione finale
Il regolamento stabilisce procedimenti abbreviati per i disegni di legge dei quali è dichiarata l'urgenza.
Può altresì stabilire in quali casi e forme l'esame e l'approvazione dei disegni di legge sono deferiti a commissioni, anche permanenti, composte in modo da rispecchiare la proporzione dei gruppi parlamentari. Anche in tali casi, fino al momento della sua approvazione definitiva, il disegno di legge è rimesso alla Camera, se il Governo o un decimo dei componenti della Camera o un quinto della commissione richiedono che sia discusso e votato dalla Camera stessa oppure che sia sottoposto alla sua approvazione finale con sole dichiarazioni di voto. Il regolamento determina le forme di pubblicità dei lavori delle commissioni.
La procedura normale di esame e di approvazione diretta da parte della Camera è sempre adottata per i disegni di legge in materia costituzionale ed elettorale e per quelli di delegazione legislativa, di concessione di amnistia e indulto, di autorizzazione a ratificare trattati internazionali, di approvazione di bilanci e consuntivi, di attuazione dell'articolo 81, sesto comma, e per quelli diretti all'adempimento degli obblighi derivanti dall'appartenenza all'Unione europea. Per tali disegni di legge occorre l'approvazione di entrambe le Camere.
Il Governo può chiedere che un disegno di legge sia iscritto con priorità all’ordine del giorno della Camera che deve esaminarlo e che sia votato entro un termine determinato secondo le modalità e con i limiti stabiliti dai regolamenti. Può altresì chiedere che, decorso tale termine, il testo proposto o condiviso dal Governo sia approvato articolo per articolo, senza emendamenti, e con votazione finale.
Il disegno di legge, approvato da una Camera, è trasmesso all’altra e si intende definitivamente approvato se entro quindici giorni dalla trasmissione questa non delibera di disporne il riesame su proposta di un terzo dei suoi componenti.
La Camera che dispone di riesaminare il disegno di legge deve approvarlo o respingerlo entro i trenta giorni successivi alla decisione di riesame. Decorso inutilmente tale termine, il disegno di legge si intende definitivamente approvato.
Se la Camera che ha chiesto il riesame lo approva con emendamenti o lo respinge, il disegno di legge è trasmesso alla prima Camera, che delibera in via definitiva
Art. 73.
Le leggi sono promulgate dal Presidente della Repubblica entro un mese dall'approvazione.
Se la Camera che la ha approvata definitivamente, a maggioranza assoluta dei propri componenti, ne dichiara l'urgenza, la legge è promulgata nel termine da essa stabilito
Quando è previsto il voto di entrambe le Camere, l'urgenza deve essere deliberata da ciascuna di esse a maggioranza assoluta dei propri componenti
Le leggi sono pubblicate subito dopo la promulgazione ed entrano in vigore il quindicesimo giorno successivo alla loro pubblicazione, salvo che le leggi stesse stabiliscano un termine diverso.
Art. 74.
Il Presidente della Repubblica, prima di promulgare la legge, può con messaggio motivato alle Camere chiedere una nuova deliberazione secondo le procedure di cui all'articolo 72.
Se la legge è nuovamente approvata, questa deve essere promulgata.

Art. 92.
Il Governo della Repubblica è composto del Presidente del Consiglio e dei ministri, che costituiscono insieme il Consiglio dei ministri.
Il Presidente della Repubblica nomina il Presidente del Consiglio dei ministri e, su proposta di questo, nomina e revoca i ministri.
Art. 94.
Il Presidente del Consiglio dei Ministri deve avere la fiducia delle due Camere.
Ciascuna Camera delibera sulla richiesta di fiducia mediante mozione motivata e votata per appello nominale.
Entro dieci giorni dalla formazione del Governo, il Presidente del Consiglio dei Ministri si presenta alle Camere per ottenerne la fiducia.
Il voto contrario di una o d'entrambe le Camere su una proposta del Governo non importa obbligo di dimissioni.
La mozione di sfiducia deve essere sottoscritta da almeno un terzo dei componenti della Camera e dei componenti del Senato, deve contenere la indicazione del nuovo Presidente del Consiglio dei Ministri, da nominare ai sensi dell'articolo 92, secondo comma, e non può essere messa in discussione prima di tre giorni dalla sua presentazione.
La mozione di sfiducia deve essere approvata dal Parlamento in seduta comune a maggioranza  assoluta dei componenti di ciascuna delle due Camere.
Qualora una delle Camere neghi la fiducia, il Presidente del Consiglio dei Ministri può chiedere al Presidente della Repubblica lo scioglimento delle Camere o anche di una sola di esse; le Camere non possono essere sciolte se il Parlamento in  seduta comune entro venti giorni dalla richiesta di scioglimento indica a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera il nuovo Presidente del Consiglio dei Ministri, da nominare ai sensi dell'articolo 92, secondo comma.

Art. 126.
Con decreto motivato del Presidente della Repubblica sono disposti lo scioglimento del Consiglio regionale e la rimozione del Presidente della Giunta che abbiano compiuto atti contrari alla Costituzione o gravi violazioni di legge. Lo scioglimento e la rimozione possono altresì essere disposti per ragioni di sicurezza nazionale. Il decreto è adottato sentita la Commissione paritetica per le questioni regionali, costituita presso il Senato della Repubblica.
Il Consiglio regionale può esprimere la sfiducia nei confronti del Presidente della Giunta mediante mozione motivata, sottoscritta da almeno un quinto dei suoi componenti e approvata per appello nominale a maggioranza assoluta dei componenti. La mozione non può essere messa in discussione prima di tre giorni dalla presentazione.
L'approvazione della mozione di sfiducia nei confronti del Presidente della Giunta eletto a suffragio universale e diretto, nonché la rimozione, l'impedimento permanente, la morte o le dimissioni volontarie dello stesso comportano le dimissioni della Giunta e lo scioglimento del Consiglio. In ogni caso i medesimi effetti conseguono alle dimissioni contestuali della maggioranza dei componenti il Consiglio.

sabato 14 aprile 2012

Corsi Ricorsi e Ricicli


In questo complesso momento, soprattutto guardando i telegiornali, si ha sempre più spesso l'impressione di essere in un ricorso storico continuo, quasi un ritorno prepotente (e petulante) dei climi e dei problemi del periodo '92-'96. 
In effetti i punti di contatto non sono pochi: l'impressione di un progressivo deterioramento morale della politica, fiammate di antipolitica provenienti tanto da destra quanto da sinistra, il governo tecnico (prima Ciampi e poi, soprattutto, Dini) le tematiche della legge elettorale e del finanziamento pubblico ai partiti (entrambe presenti nel referendum abrogativo del 1993), la riforma del mercato del lavoro (basti pensare al protocollo Ciampi del 1993), la riforma delle pensioni (Dini, 1995) e le riforme istituzionali e costituzionali.
E' vero, le somiglianze sono tante, ma sono passati soltanto quindici-vent'anni da quel periodo, si può veramente parlare di un ricorso storico? Io non credo. Piuttosto che di un ricorso io parlerei di un "riciclo" di problemi che sono appena riemersi dopo un periodo in cui sono rimasti, sfortunatamente, assopiti. Il vero problema, a mio parere, è stata l'assenza di un vero momento di rottura col il sistema precedente: il fallimento della bicamerale D'Alema, infatti, ha lasciato il peso delle aspettative di cambiamento esclusivamente sul referendum e sulla susseguente legge elettorale, che da sola non è stata e non poteva essere sufficiente a supportare l'inizio della II Repubblica. Senza un nuovo patto costituente ma anche costitutivo, infatti, era prevedibile che i medesimi problemi riemergessero violentemente al primo segnale di scricchiolio di un sistema che, in questo periodo storico, è stato fortemente contrassegnato dalla continua tensione fra la lettera della Costituzione e la differente percezione sociale e mediatica del suo significato. Parole come "Premier", norme come quella sull'obbligo di indicazione del "capo della forza politica" nelle schede elettorali previsto dal Porcellum, le continue accuse di trasformismo e partitocrazia infatti derivano da questa frattura, da tutte le promesse mancate dell'ultimo periodo della I Repubblica. 
Detto in poche parole: c'è stata la percezione sociale e mediatica di un cambiamento che non è mai realmente avvenuto se non nei nomi e nei simboli di partito.
Adesso non è più possibile commettere il medesimo errore, non è più possibile sottoporre la (bellissima) Costituzione del '48 ad ulteriori tensioni che rischierebbero di sfaldare non solo il suo tessuto intrinseco, ma anche lo stesso tessuto sociale: non è più possibile affidarsi a leggi e leggine emergenziali per superare l'impasse del momento e poi continuare come nulla fosse successo. Rimangono soltanto due soluzioni nette: o tornare in toto al sistema costituzionale precedente, al classico parlamentarismo senza correzioni posticce previsto dalla Costituzione ancora vigente, oppure andare avanti compiutamente ed approvare una completa modifica della parte II con specifico riferimento alla forma di governo, che porti ad un effettivo rinnovamento e ad un riconoscimento reciproco fra le forze politiche. 
Allora ben venga la legge elettorale, ben venga la legge sul finanziamento pubblico ai partiti (a patto che lo razionalizzi e non lo elimini) e ben venga la riduzione del numero dei parlamentari, ma senza dimenticarsi del passato e di come, senza una struttura costituzionale che includa queste modifiche in un contesto più ampio, gli stessi problemi sono destinati a ripresentarsi a breve, probabilmente in maniera ancora più violenta. 

mercoledì 29 febbraio 2012

Non ho niente contro la Croazia, ma...


Oggi, dopo il voto di ieri al Senato, l’Italia è diventata il primo Stato fondatore dell' Unione Europea a ratificare il Trattato di adesione della Croazia. Come stavo dicendo poco sopra, non ho niente contro la Croazia, ma…è veramente il caso di continuare ad allargare i confini dell’Unione Europea? Non è arrivato forse il momento di fermarsi un attimo, di fare un bel respiro e di approfondire il concetto di Europa, soprattutto da un punto di vista politico? Io penso di si.
L’alternativa fra “widening” e “deepening” dell’Unione si è mossa sempre nella stessa direzione negli ultimi anni, ma oggi più che mai bisogna fermarsi a riflette: oggi, il giorno in cui Junker ha annunciato che gli aiuti alla Grecia saranno sboccati entro il prossimo 20 Marzo, oggi, il giorno in cui dodici studenti sono stati arrestati a Barcellona durante un corteo contro i tagli, oggi che gli scontri fra No-Tav e forze dell’ordine sono diventati ancora più aspri, coinvolgendo perfino una troupe televisiva. Forse le cose non sembreranno collegate ad un primo sguardo, ma c’è un sottile filo che le connette: l’opinione pubblica europea, coscientemente o meno, sta diventando sempre più frustrata e insoddisfatta.
Lo dimostrano in maniera emblematica le bandiere tedesche bruciate in Grecia.
Questa ondata di malcontento dipende sicuramente dalla crisi economica, ma la reazione a questa crisi dipende dalla perdita progressiva dei punti di riferimento storici: la gente si rende perfettamente conto che le decisioni  economiche fondamentali non sono più prese liberamente dai governi e dai parlamenti democraticamente eletti, e sente il bisogno di trovare qualcuno che possa essere ritenuto responsabile, soprattutto politicamente.
Perché la politica in fondo è anche questo: presa di responsabilità.
L’opinione pubblica sta iniziando ad accorgersi della rivoluzione silenziosa che è esplosa negli ultimi vent’anni, dal Trattato di Maastricht in poi, ed è questo il momento di dare una risposta a questa (comprensibile) frustrazione tramite una legittimazione democratica ed una crescita sociale dell’Unione Europea. Serve un’Europa che metta di nuova al centro i cittadini, i loro diritti ed i loro doveri, al di la dei ragionamenti puramente economici. Sembra assurdo dirlo adesso, in un momento in cui la crisi dei debiti sovrani sembra essere giunta al suo punto più drammatico, ma è nei momenti di crisi che diventa necessario cambiare, per il bene di tutti.
Se è vero quello che diceva Guarino ormai quindici anni fa, ovvero che “il Trattato UE non solo limita l’area della politica, ma richiede agli Stati di disfare quanto di buono la politica aveva realizzato nel passato, e di provvedervi da soli, tempestivamente e rigorosamente”, allora deve essere la stessa Europa a recuperare quello di buono fatto dagli Stati nazionali nel corso del secolo appena trascorso, e portarlo a livello europeo. Senza un salto in avanti di questo genere l’esperienza europea è destinata a fallire…con o senza la Croazia.

La Gelmini ed i dottorati senza borsa

In un primo momento non è stata considerata una notizia eclatante, soprattutto in mezzo alla valanga di controversi stravolgimenti portati dalla riforma Gelmini, ma l’eliminazione del limite numerico ai posti di dottorato senza borsa, che disponeva che quest’ultimi fossero inferiori alla metà dei posti messi a bando, inizia a far vedere i suoi effetti. Per dirla in maniera semplice, grazie all’articolo 19 della riforma, ciascun ateneo potrà d’ora in avanti decidere liberamente il rapporto tra numero di posti di dottorato con borsa e senza borsa, mentre fino a poco tempo fa i posti senza borsa non potevano essere superiori alla metà dei posti messi a bando: una borsa di studio e quattordici dottorati senza borsa? Perché no! 
La prima Università ad approfittare di questa possibilità, in attesa dell’approvazione del nuovo Regolamento di dottorato, è stata la Federico II di Napoli che lo scorso Novembre, come spiega una nota dell’Adi (Associazione dottorandi e dottori di ricerca italiani), ha bandito i primi concorsi di dottorato in cui il numero dei posti di dottorato senza borsa supera quello dei posti con borsa (Dottorato in Economia e management delle aziende: 2 posti con borsa e 4 posti senza borsa; Dottorato in Scienze dell’alimentazione e della nutrizione: 2 posti con borsa e 3 posti senza borsa; Dottorato in Istituzioni e politiche ambientali: 2 posti con borsa e 5 posti senza borsa), un segnale preoccupante che dimostra come la nuova normativa venga già applicata in alcuni atenei.
Questo cambio di direzione è sicuramente preoccupante perché  lascia la strada aperta ad un uso spropositato dello strumento del dottorato senza borsa da parte dei dipartimenti, con conseguenze su tutto il sistema universitario: in primo luogo perché svilisce il lavoro di tanti giovani studiosi, costretti a fare ricerca in assenza di un sostegno economico stabile e a pagare tasse che diventano sempre più alte. In secondo luogo, poi, perché l’ampio e prevedibile ricorso ai dottorati senza borsa da parte dei dipartimenti, con il probabile aumento dei posti complessivi, rischia di svalutare il titolo stesso abbassando il livello dei concorsi e della ricerca, con effetti che potrebbero riverberarsi, in prospettiva, anche sul valore delle lauree. E non dico questo per semplice paranoia, la convenienza economica di un aumento incontrollato di questo genere di dottorati risulta evidente: più introiti dalle tasse universitarie e meno borse di studio, un affare d’oro che difficilmente le Università decideranno da sole di farsi scappare, soprattutto in questo momento di crisi.
Per questo è importante che il governo ed il parlamento intervengano il più presto possibile in questa materia eliminando questa norma insensata, per salvaguardare non solo la dignità dei dottorati ma anche il loro reale valore accademico.