martedì 30 ottobre 2012

A che punto siamo sull'educazione? Gli obiettivi italiani di Strategia Europa 2020.


In un post precedente su questo blog (quante parole giovani!) mi ero occupato di commentare brevemente le cifre sull'educazione emerse dal rapporto OCSE "education at glance 2011-2012". 
Da quel rapporto emergeva che, a dispetto di una media OCSE di laureati under 35 del 30% circa, la media italiana superava a malapena il 15%. L'altro dato fortemente negativo riguardava, invece, la percentuale di persone che riuscivano ad ottenere un titolo di studio superiore a quello dei propri gnitori, classifica in cui l'Italia si trovava quartultima davanti a USA, Turchia e Portogallo.e
Davanti a questi dati, che ho definito "inquietanti", ho ricevuto ogni tipo di obiezione, una delle quali riguardava il fatto che fanno parte dell'OCSE Stati in via di sviluppo o da poco sviluppati, e quindi in un relativo boom educativo. 
Visto che mi piace prendere in considerazione le critiche invece che ignorarle, questa volta metterò l'Italia in comparazione con una nazione del medesimo livello: l'Italia.
All'alba della crisi economica, solo 2 anni fa, la Commissione Europea ha presentato la Strategia Europa 2020, un progetto che prevede cinque obiettivi misurabili da tradurre in appositi piani nazionali, riguardanti: l'occupazione, la ricerca, la crescita sostenibile, l'istruzione e la lotta alla povertà. 
A che punto è l'Italia in materia di ricerca e istruzione? E' presto detto: l'obiettivo da raggiungere per quanto riguarda il tasso di abbandono scolastico fra i 18 ed i 24 anni sarebbe il 15%, mentre in Italia la media è del 18% circa (18,8% nel 2010, 18,2% nel 2011). Per quanto riguarda l'educazione terziaria fra i 30 ed i 35 anni l'obiettivo sarebbe di raggiungere quota 26%, mentre attualmente questa media si attesta sul 20% circa (19,8% nel 2010, 20,3% nel 2011). Va peraltro detto che entrambi i dati sembrano mostrare un trend positivo, anche se in piccola parte: non si può dire lo stesso per la percentuale di PIL destinata alla ricerca, che secondo la Commissione Europea dovrebbe raggiungere l'1,53%, ancora ferma all'1,26% (2009 e 2010) e che sembra destinata a diminuire ulteriormente.
Già questi dati, che senza bisogno di alcuno sforzo di fantasia definirò "inquietanti", dovrebbero mostrare che non solo l'Italia non ha puntato su ricerca, innovazione e educazione, ma che continua a non farlo. La situazione, però, risulta ancor più grave se confrontiamo quanto appena detto con gli obiettivi che la stessa Strategia Europa 2020 pone per l'insieme dei 27 Stati: il traguardo da raggiungere sull'abbandono scolastico fra i 18 ed i 24 anni è solo del 10%, a fronte di una media attuale del 14,1% (contro il nostro 18%). Per quanto riguarda l'educazione terziaria fra i 30 ed i 35 anni l'obiettivo sarebbe di raggiungere quota 40%, mentre la media attuale si attesta sul 33,5%, ben superiore al 20% registrato dall'Italia. Ancora più grande sembra la nostra distanza dal resto dell'Europa se volgiamo lo sguardo alla percentuale di PIL destinata alla ricerca, che secondo la Commissione Europea dovrebbe raggiungere il 3%, mentre è ancora ferma al 2%, contro il nostro 1,26%.
Ancora una volta la situazione della ricerca e dell'educazione in Italia sembra drammatica: per questo gli ulteriori tagli alla scuola e alla ricerca previsti dalla legge di Stabilità varata dal Governo Monti sembrano non solo sbagliati, ma anche del tutto illogici. Questo governo, e soprattutto il prossimo, dovranno ricominciare a puntare su questo (educazione, istruzione, ricerca e innovazione) per portare l'Italia fuori da una crisi che è sicuramente economica, ma che rischia ogni giorno di più di diventare anche una crisi culturale.

(Quasi dimenticavo! fonte dati: Eurostat, aggiornati al 21/10/2012)

lunedì 15 ottobre 2012

Perché dire no a questa riforma del Titolo V

Il testo della (possibile) riforma costituzionale del Titolo V non è ancora disponibile, e pochi sono gli indizi che possono far comprendere quale ne sarà il contenuto. L'unica cosa chiara è che le Camere dovranno fare in fretta ad approvarla, ma questa ormai non è più una novità. Anzi.
Ad ogni modo dal comunicato stampa successivo al Consiglio dei Ministri e dalle varie dichiarazioni successive (ad es. quella del Min. Patroni Griffi) risulta abbastanza chiaro che l'obiettivo di questa controriforma sarà quello di restituire allo Stato alcune competenze attualmente in mano alle Regioni e quello di dare la possibilità alla legge statale di imporre determinate modifiche alle leggi regionali qualora lo richieda la "tutela dell'unità giuridica ed economica della Repubblica".
Sul secondo punto sono personalmente d'accordo: il profilo dell'uguaglianza fra i cittadini della Repubblica non può che essere un faro in un sistema ormai plurilivello come quello italiano, e il Titolo V risulta lacunoso proprio in quest'ambito. 
Questo sistema plurilivello a cui abbiamo appena fatto riferimento, però, prevede anche uno strato superiore a quello statale: quello dell'Unione Europea, che sta vivendo ormai da decenni una fase di espansione delle proprie competenze. Proprio per questo motivo non è accettabile, invece, una diminuzione delle competenze regionali a favore dello Stato: se, come ha detto recentemente il Presidente Napolitano, le innovazioni future dipenderanno in massima parte dalle "cessioni di sovranità" statali all'UE, allora le competenze regionali saranno (o almeno dovrebbero essere) sempre di più un contrappeso alle delocalizzazione delle scelte fondametali dallo Stato al sistema europa. 
Quando in gioco ci sono equilibri di questo genere la cosa peggiore che si può fare è perdere di vista il concetto di quadro generale, l'armonia dei pesi e contrappesi,  in una sorta di furore vendicativo nei confronti dei tanti (tantissimi, decisamente troppi) casi di corruzione: la classe dirigente regionale è sicuramente di basso livello, potremmo dire (in maniera anche troppo lusinghiera) che sia in fase di crescita e costruzione, ma tornare indietro in questo momento, e farlo per di più di corsa, non è la soluzione.
Il rischio non è soltanto quello di mettere l'ennesima toppa sopra una toppa precedente, sfilacciando ancora di più il tessuto costituzionale e senza ripensamenti sul ruolo del Senato, ma anche quello di allontanare ancora di più i cittadini dai punti focali delle decisioni che li riguradano: se l'epoca della "Roma ladrona", anche se storicamentre vicina sembra ormai (fortunatamente) lontana, l'epoca dell'"Europa ladrona" è appena cominciata e durerà più a lungo di quanto molti sembrano pensare.