mercoledì 29 febbraio 2012

Non ho niente contro la Croazia, ma...


Oggi, dopo il voto di ieri al Senato, l’Italia è diventata il primo Stato fondatore dell' Unione Europea a ratificare il Trattato di adesione della Croazia. Come stavo dicendo poco sopra, non ho niente contro la Croazia, ma…è veramente il caso di continuare ad allargare i confini dell’Unione Europea? Non è arrivato forse il momento di fermarsi un attimo, di fare un bel respiro e di approfondire il concetto di Europa, soprattutto da un punto di vista politico? Io penso di si.
L’alternativa fra “widening” e “deepening” dell’Unione si è mossa sempre nella stessa direzione negli ultimi anni, ma oggi più che mai bisogna fermarsi a riflette: oggi, il giorno in cui Junker ha annunciato che gli aiuti alla Grecia saranno sboccati entro il prossimo 20 Marzo, oggi, il giorno in cui dodici studenti sono stati arrestati a Barcellona durante un corteo contro i tagli, oggi che gli scontri fra No-Tav e forze dell’ordine sono diventati ancora più aspri, coinvolgendo perfino una troupe televisiva. Forse le cose non sembreranno collegate ad un primo sguardo, ma c’è un sottile filo che le connette: l’opinione pubblica europea, coscientemente o meno, sta diventando sempre più frustrata e insoddisfatta.
Lo dimostrano in maniera emblematica le bandiere tedesche bruciate in Grecia.
Questa ondata di malcontento dipende sicuramente dalla crisi economica, ma la reazione a questa crisi dipende dalla perdita progressiva dei punti di riferimento storici: la gente si rende perfettamente conto che le decisioni  economiche fondamentali non sono più prese liberamente dai governi e dai parlamenti democraticamente eletti, e sente il bisogno di trovare qualcuno che possa essere ritenuto responsabile, soprattutto politicamente.
Perché la politica in fondo è anche questo: presa di responsabilità.
L’opinione pubblica sta iniziando ad accorgersi della rivoluzione silenziosa che è esplosa negli ultimi vent’anni, dal Trattato di Maastricht in poi, ed è questo il momento di dare una risposta a questa (comprensibile) frustrazione tramite una legittimazione democratica ed una crescita sociale dell’Unione Europea. Serve un’Europa che metta di nuova al centro i cittadini, i loro diritti ed i loro doveri, al di la dei ragionamenti puramente economici. Sembra assurdo dirlo adesso, in un momento in cui la crisi dei debiti sovrani sembra essere giunta al suo punto più drammatico, ma è nei momenti di crisi che diventa necessario cambiare, per il bene di tutti.
Se è vero quello che diceva Guarino ormai quindici anni fa, ovvero che “il Trattato UE non solo limita l’area della politica, ma richiede agli Stati di disfare quanto di buono la politica aveva realizzato nel passato, e di provvedervi da soli, tempestivamente e rigorosamente”, allora deve essere la stessa Europa a recuperare quello di buono fatto dagli Stati nazionali nel corso del secolo appena trascorso, e portarlo a livello europeo. Senza un salto in avanti di questo genere l’esperienza europea è destinata a fallire…con o senza la Croazia.

La Gelmini ed i dottorati senza borsa

In un primo momento non è stata considerata una notizia eclatante, soprattutto in mezzo alla valanga di controversi stravolgimenti portati dalla riforma Gelmini, ma l’eliminazione del limite numerico ai posti di dottorato senza borsa, che disponeva che quest’ultimi fossero inferiori alla metà dei posti messi a bando, inizia a far vedere i suoi effetti. Per dirla in maniera semplice, grazie all’articolo 19 della riforma, ciascun ateneo potrà d’ora in avanti decidere liberamente il rapporto tra numero di posti di dottorato con borsa e senza borsa, mentre fino a poco tempo fa i posti senza borsa non potevano essere superiori alla metà dei posti messi a bando: una borsa di studio e quattordici dottorati senza borsa? Perché no! 
La prima Università ad approfittare di questa possibilità, in attesa dell’approvazione del nuovo Regolamento di dottorato, è stata la Federico II di Napoli che lo scorso Novembre, come spiega una nota dell’Adi (Associazione dottorandi e dottori di ricerca italiani), ha bandito i primi concorsi di dottorato in cui il numero dei posti di dottorato senza borsa supera quello dei posti con borsa (Dottorato in Economia e management delle aziende: 2 posti con borsa e 4 posti senza borsa; Dottorato in Scienze dell’alimentazione e della nutrizione: 2 posti con borsa e 3 posti senza borsa; Dottorato in Istituzioni e politiche ambientali: 2 posti con borsa e 5 posti senza borsa), un segnale preoccupante che dimostra come la nuova normativa venga già applicata in alcuni atenei.
Questo cambio di direzione è sicuramente preoccupante perché  lascia la strada aperta ad un uso spropositato dello strumento del dottorato senza borsa da parte dei dipartimenti, con conseguenze su tutto il sistema universitario: in primo luogo perché svilisce il lavoro di tanti giovani studiosi, costretti a fare ricerca in assenza di un sostegno economico stabile e a pagare tasse che diventano sempre più alte. In secondo luogo, poi, perché l’ampio e prevedibile ricorso ai dottorati senza borsa da parte dei dipartimenti, con il probabile aumento dei posti complessivi, rischia di svalutare il titolo stesso abbassando il livello dei concorsi e della ricerca, con effetti che potrebbero riverberarsi, in prospettiva, anche sul valore delle lauree. E non dico questo per semplice paranoia, la convenienza economica di un aumento incontrollato di questo genere di dottorati risulta evidente: più introiti dalle tasse universitarie e meno borse di studio, un affare d’oro che difficilmente le Università decideranno da sole di farsi scappare, soprattutto in questo momento di crisi.
Per questo è importante che il governo ed il parlamento intervengano il più presto possibile in questa materia eliminando questa norma insensata, per salvaguardare non solo la dignità dei dottorati ma anche il loro reale valore accademico.