In un primo momento non è stata considerata una notizia eclatante, soprattutto in mezzo alla valanga di controversi stravolgimenti portati dalla riforma Gelmini, ma l’eliminazione del limite numerico ai posti di dottorato senza borsa, che disponeva che quest’ultimi fossero inferiori alla metà dei posti messi a bando, inizia a far vedere i suoi effetti. Per dirla in maniera semplice, grazie all’articolo 19 della riforma, ciascun ateneo potrà d’ora in avanti decidere liberamente il rapporto tra numero di posti di dottorato con borsa e senza borsa, mentre fino a poco tempo fa i posti senza borsa non potevano essere superiori alla metà dei posti messi a bando: una borsa di studio e quattordici dottorati senza borsa? Perché no!
La prima Università ad approfittare di questa possibilità, in attesa dell’approvazione del nuovo Regolamento di dottorato, è stata la Federico II di Napoli che lo scorso Novembre, come spiega una nota dell’Adi (Associazione dottorandi e dottori di ricerca italiani), ha bandito i primi concorsi di dottorato in cui il numero dei posti di dottorato senza borsa supera quello dei posti con borsa (Dottorato in Economia e management delle aziende: 2 posti con borsa e 4 posti senza borsa; Dottorato in Scienze dell’alimentazione e della nutrizione: 2 posti con borsa e 3 posti senza borsa; Dottorato in Istituzioni e politiche ambientali: 2 posti con borsa e 5 posti senza borsa), un segnale preoccupante che dimostra come la nuova normativa venga già applicata in alcuni atenei.
Questo cambio di direzione è sicuramente preoccupante perché lascia la strada aperta ad un uso spropositato dello strumento del dottorato senza borsa da parte dei dipartimenti, con conseguenze su tutto il sistema universitario: in primo luogo perché svilisce il lavoro di tanti giovani studiosi, costretti a fare ricerca in assenza di un sostegno economico stabile e a pagare tasse che diventano sempre più alte. In secondo luogo, poi, perché l’ampio e prevedibile ricorso ai dottorati senza borsa da parte dei dipartimenti, con il probabile aumento dei posti complessivi, rischia di svalutare il titolo stesso abbassando il livello dei concorsi e della ricerca, con effetti che potrebbero riverberarsi, in prospettiva, anche sul valore delle lauree. E non dico questo per semplice paranoia, la convenienza economica di un aumento incontrollato di questo genere di dottorati risulta evidente: più introiti dalle tasse universitarie e meno borse di studio, un affare d’oro che difficilmente le Università decideranno da sole di farsi scappare, soprattutto in questo momento di crisi.
Per questo è importante che il governo ed il parlamento intervengano il più presto possibile in questa materia eliminando questa norma insensata, per salvaguardare non solo la dignità dei dottorati ma anche il loro reale valore accademico.
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